È capitato a ciascuno di noi, dopo un’afosa nottata d’agosto o un’incredibilmente mite giornata di gennaio, che ci attraversasse il pensiero: “sarà colpa dei cambiamenti climatici”. Ebbene sì, i climatologi sono unanimi nell’analisi che la terra tutta si stia riscaldando a seguito delle attività condotte dall’uomo.

Sentire di avere “troppo” caldo rispetto a ciò che ci sembrerebbe normale è senz’altro la sensazione più immediata, vivida, tangibile che qualcosa non va. Tuttavia, non è avere caldo l’effetto più disastroso.

A legislazione invariata (ovvero senza intraprendere misure correttive), gli scienziati si aspettano che la temperatura media della Terra si innalzi di 1,5° entro il 2050. Ad oggi, si stima che la temperatura si sia già innalzata di 1,0° dall’inizio della prima rivoluzione industriale. “Beh” mi si potrà dire “abbiamo già resistito all’innalzamento di 1°, non potrà essere poi così male resistere ad un altro, no?”. Chi la pensa in questo modo fallisce di fare i conti con un fenomeno chiamato “non-linearità”. Con “non-linearità” si vuole indicare che molti degli impatti stimati non aumentano in modo proporzionale al surriscaldamento globale, ma hanno trend esponenziali. Se un aumento di +1° genera danni pari a 100, un aumento di +2° non genera danni pari a 200, ma molto di più. La non-linearità dei rischi e degli impatti dovuti al riscaldamento globale sarà particolarmente evidente nella disponibilità di acqua, e nella registrazione di temperature estreme, solo per citare un paio di esempi.

Ma non è tutto. L’impatto sull’economia globale, se non si interviene per tempo, è stimato in una diminuzione del 5% del PIL globale ora e per sempre (in uno scenario conservativo). Questa diminuzione viene calcolata al 20% del PIL globale considerando altri rischi ed impatti (per fare un confronto, durante la crisi finanziaria del 2009 l’Italia perse il 5,5% del PIL reale).

L’Italia, ovviamente, non è esente da questi pericoli. Possiamo solo immaginare e provare a stimare, ad oggi, le ripercussioni sulle filiere produttive che fanno grande il nostro paese nel mondo, a partire dal comparto agricolo. Quali saranno gli impatti sui nostri prodotti di eccellenza: i vari DOP, DOC, IGP, DeCo…? Quale sarà l’impatto sul nostro settore turistico quando l’aumento delle temperature provocherà cambiamenti irreversibili dall’alto dei nostri ghiacciai fino alle città sul mare?

Di fronte a queste sfide non siamo inermi, ma siamo fermi. Per evitare (o quantomeno mitigare) gli impatti del surriscaldamento globale ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte in quanto individuo, imprenditore, studente, lavoratore, cittadino. Non è più il tempo di scaricare sulle giovani generazioni il peso degli errori passati, non è più il tempo di nascondersi dietro l’alibi del “confidiamo che i nostri giovani siano migliori di noi e risolvano il problema”. C’è bisogno di un’assunzione individuale e collettiva di responsabilità perché le soluzioni produttive, tecnologiche, comportamentali e legislative esistono (e ne parleremo nei prossimi articoli), ma senza un colpo di reni deciso e repentino la strada verso il +1,5 °C (e oltre) è già segnata.

“The climate emergency is a race we are losing, but it is a race we can win” António Guterres, UN secretary-general (23/09/2019)

“L’emergenza climatica è una gara che stiamo perdendo, ma che possiamo vincere” António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite (23/09/2019)

Giacomo Pigatto

#amministrailpresente #immaginailfuturo

Marostica Partecipa

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Fonti:
– IPCC (2018), ‘Special Report – Global Warming of 1.5 °C’, Intergovernmental Panel on Climate Change.
– Stern, N. (2006), ‘The Economics of Climate Change: The Stern Review’, Cambridge University Press.
– Nordhaus, W. (2013), ‘The Climate Casino: Risk, Uncertainty and Economics for a Warming World’, Yale University Press.